La mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro rappresenta danno da usura psico-fisica, distinto dall’ulteriore ed eventuale danno alla salute o danno biologico che si concretizza, invece, in un’infermità del lavoratore determinata dall’attività “usurante” svolta in conseguenza del lavoro continuo a cui non seguono riposi settimanali.
Lo precisa la Corte di Cassazione…, sezione lavoro, con la sentenza n. 21225/2015 (qui sotto allegata) originata dal ricorso di un Comune avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’Appello di Napoli che condannava l’ente a pagare in favore di un suo dipendente una somma per aver costui svolto attività di custodia nelle domeniche e nei giorni festivi, senza godere dei riposi compensativi.
Per i giudici di Piazza Cavour le doglianze del Comune sono, tuttavia, infondate a fronte di una corretta applicazione della Corte territoriale dei principi in materia.
Ai sensi dell’art. 17 del d.p.r. n. 268/1987, al lavoratore spetta la maggiorazione del 20% per il lavoro svolto di domenica, nonché la retribuzione per i giorni di riposo compensativi non fruiti.
La norma svolge una funzione retributiva-corrispettiva e non anche risarcitoria, ma comunque al lavoratore spetta il risarcimento del danno da usura psico-fisica per il mancato godimento dei riposi compensativi, liquidati ex art. 1226 c.c.
Per gli Ermellini “una cosa è la definitiva perdita del riposo, agli effetti sia dell’obbligazione retributiva che del risarcimento del danno per lesione di un diritto della persona, altra il semplice ritardo della pausa di riposo”.
In questa seconda ipotesi, poiché la legge (salvo deroghe) impone la concessione di un giorno di riposo dopo sei di lavoro, il compenso avrà natura retributiva ex art. 2126 c.c., comma due, fatto salvo il risarcimento del danno subito per effetto del comportamento del datore di lavoro stante un pregiudizio del diritto alla salute o di altro diritto avente natura personale.
A sua volta, è da tenersi distinto il danno da usura psico-fisica, dal danno alla salute o biologico, poiché, in questo secondo caso, concretizzandosi in una infermità del lavoratore, non può desumersi presuntivamente, ma va dimostrato sia nella sua esistenza sia nel suo nesso eziologico.
Corretta la determinazione della Corte d’Appello e da condividere l’affermazione secondo cui il riposo dopo sei giorni di lavoro consecutivo costituisce un diritto irrinunciabile del dipendente, garantito dal’art. 36 Cost. e dall’art. 2109 c.c.
Inoltre, “corrisponde ad una nozione di comune esperienza che l’attività lavorativa, come qualsiasi impegno delle energie psicofisiche, se protratta senza interruzioni, risulta via via più onerosa con il trascorrere delle giornate e il riposo che sopraggiunge dopo un arco di tempo più ampio rispetto alla normale cadenza settimanale non può, di per sé, compensare tale crescente disagio”.