Il Jobs Act apre le porte all’uso delle nuove tecnologie per il controllo a distanza dei lavoratori, ma dal Consiglio d’Europa arriva l’altolà con un esplicito divieto. Le aziende dunque dovranno non interferire nella vita privata di chi lavora per loro. A fissare i paletti entro cui è lecito agire è una raccomandazione del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che mira a proteggere la privacy dei lavoratori di fronte ai progressi tecnologici che permettono ai datori di lavoro di raccogliere e conservare ogni tipo di informazione.
Il testo, pur non avendo valore vincolante, può essere usato davanti ai tribunali nazionali, e poi eventualmente alla Corte di Strasburgo, da chi ritenga violata la sua privacy. Quindi, oltre ad essere una raccomandazione a governi e parlamenti a legiferare in tal senso, è anche una sorta di vademecum che i lavoratori possono utilizzare per far rispettare i loro diritti. La raccomandazione impone limiti ferrei su qualsiasi tipo di controllo nei confronti dei dipendenti e sulla raccolta e l’utilizzo di tutti i loro dati personali.
Viene cosi stabilito che ai datori di lavoro è vietato usare qualsiasi tecnologia al solo scopo di controllare le attività e i comportamenti dei dipendenti, ma soprattutto che nel caso si renda necessario utilizzare telecamere o altri sistemi di sorveglianza questi non dovranno mai essere posizionati in zone dove normalmente i dipendenti non lavorano, come spogliatoi, aree ricreative, o mense. Off limits anche tutte le comunicazioni ’private’ dei dipendenti. Mentre l’accesso a quelle professionali, per esempio una mail a un collega, è consentito solo se il lavoratore è stato informato che questo può accadere, e unicamente se l’accesso è necessario per motivi di sicurezza o, per esempio, per garantire che un lavoro venga terminato.
Il lavoratore ha il diritto di sapere quali dati il ’padrone’ sta raccogliendo su di lui e perché, e ha anche il diritto di visionarli, di chiederne la correzione e addirittura la cancellazione. Nella raccomandazione vengono elencate tutte le informazioni che un datore di lavoro non può chiedere al dipendente o a chi vuole assumere, e i limiti che deve rispettare nel comunicare, anche all’interno della stessa azienda, i dati raccolti.
La raccomandazione del Consiglio d’Europa avverte la necessità di dettare alcuni punti chiave nelle normative statali sul controllo e il processo dei dati personali nei rapporti di lavoro e aggiorna quella del 1989. La Raccomandazione si applica sia al pubblico e al privato e chiede agli stati membri di evitare che nella propria legislazione in materia di lavoro si possano trovare elementi ingiustificati e irragionevoli che consentano interferenze nella vita privata dei dipendenti sui luoghi di lavoro, proprio per effetto delle trasformazioni tecnologiche.
Durante l’iter del Jobs act, il testo inizialmente proposto dal governo — i controlli a distanza erano previsti per i lavoratori — è stato emendato seguendo le indicazioni della minoranza Pd che ha chiesto che il controllo a distanza fosse limitato ai soli macchinari e non ai lavoratori che li usavano. Una differenziazione che però rischia di essere meramente nominalistica: è chiaro che se vengono controllati a distanza i macchinari, fatalmente lo saranno anche i lavoratori che li comandano.
La polemica sui controlli a distanza ha poi recentemente interessato la vertenza Fincantieri. La Fiom ha denunciato la volontà dell’azienda di inserire dei microchip all’interno degli stivali dei lavoratori per controllarne la presenza e gli spostamenti nel cantiere. Sebbene gli altri sindacati — Fim e Uilm — sostengano che la proposta iniziale di Fincantieri sia stata subito ritirata, la Fiom continua a sostenere che l’azienda la mantiene sul tavolo. E sciopera anche per questo.
Il tema dunque è caldissimo. E il parere di Strasburgo potrebbe ribaltare gli equilibri qui in Italia, rendendo indispensabile una retromarcia di governo e imprese.